Come ogni anno anche per me oggi è Elvis Day. Oggi, quarantacinque anni fa, anche allora un martedì, nella sua amata Graceland, Elvis moriva a causa di un infarto indotto da varie e gravi problematiche. Di norma ascolto qualche pezzo o album e poi guardo un film o un documentario. Oggi ho finalmente guardato Elvis di Baz Luhrmann.

Non sono brava come Raffa nel recensire film, esprimo solo un parere personale su ciò che la visione mi ha trasmesso. E guardare il film di Luhrmann è stato come vivere una esperienza onirica, un caleidoscopio sfarzoso e abbacinante tramite il quale vediamo Elvis attraverso occhi e parole della controversa, mai chiara, soffocante ed onnipresente figura del Colonnello Tom Parker, nome d’arte dell’immigrato clandestino Andreas Van Kuijs, originario dei Paesi Bassi. Ovviamente, essendo questo un film e non un documentario biografico, porta in sé elementi romanzati, non propriamente precisi, ma adattati a creare un racconto emozionante, che dia ad Elvis quell’alone da supereroe da lui stesso menzionato. Un supereroe che si ritrova a combattere contro numerosi nemici, avendo al suo fianco un amico/nemico, nel perenne tentativo di raggiungere quei sogni infantili ed ingenui che tutti facciamo, ma che raramente, molto raramente, riusciamo a realizzare. Ma in caso si avverino, il prezzo da pagare è alto, molto alto, a volte letale.
Elvis di Luhrmann è un lungo racconto luccicante, roboante, frenetico, tra la biopic romanzata ed il musical accennato, che seduce e abbàcina gli spettatori, ma in primis lo stesso Elvis.
La regia inconfondibile e circense di Luhrmann è accompagnata splendidamente da un giovane Austin Butler che mostra un appassionato impegno nel portare la sua versione di Elvis sullo schermo ed una altrettanto mostruosa capacità camaleontica di un Tom Hanks quasi irriconoscibile sotto il pesante trucco, forse non molto realistico ma perfetto per l’incarnazione del villain anteposto al supereroe.
L’Elvis di Luhrmann è un giovane uomo all’inseguimento di un sogno, profondamente legato alla madre, forse troppo ingenuo e illuso e forse anche disilluso negli ultimi anni. Elvis Aaron Presley è nel profondo afflitto da solitudine e fragilità. Forse dovute alla morte alla nascita del gemello Jesse Garon e alle apprensioni ed alla prematura perdita di una madre dedita all’ansia, all’inadeguatezza, all’alcool (dopo Graceland), forse a quell’essere più utile che realmente voluto da chi lo circondava intimamente, forse incapace di esprimere sé stesso se non sul palcoscenico. Una fragilità ed una solitudine che non gli permetteranno mai di liberarsi dal laccio con cui il Colonnello Parker ha saputo tenerlo non solo legato ai suoi indirizzi, ma ad un terreno che gli ha concesso solo l’illusione, l’abbozzo, di quello spiccare il volo e librarsi lontano a cui tanto agognava. L’Elvis di Luhrmann sarà forse incompleto, non preciso, romanzato, cangiante, sfarzoso, eccessivo, ma resta un omaggio sfavillante ad un mito. Una icona che in molti, moltissimi, continuano ad amare anche dopo quarantacinque anni dalla sua morte. Morte avvenuta all’età di quarantadue anni. Elvis RESTA Elvis, il Mito, The King of Rock & Roll, nonostante sia più tempo che siamo senza di lui di quanto lui sia stato con noi.
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